TAVOLO DELLA PACE
La "provocazione" di Venezia: gemellare palestinesi e israeliani
dall'inviato
Emanuele Giordana
Mercoledi' 1 Ottobre 2008
Venezia - Nello stallo in cui sembra precipitato il
processo di pace israelopalestinese sembrano emergere due tendenze. La
disillusione sulla diplomazia con la "D" maiuscola e una voglia comunque di fare
qualcosa. "Se non altro per non doversi dire domani che non ce l'abbiamo messa
tutta", per usare le parole di Adriano Poletti, vicepresidente del Coordinamento
nazionale degli enti locali per la pace che ha organizzato a Venezia l'incontro
"Facciamo pace in Medio oriente", terza conferenza europea degli enti locali cui
hanno partecipato oltre 270 delegati provenienti da molte città europee e da
comuni palestinesi e israeliani. Nasce così anche la "provocazione" impossibile
di tentare di gemellare, con la mediazioni europea, città israeliane e città
palestinesi. "Si, impossibile - sorride Flavio Lotti - esattamente come... la
pace. Ecco perché bisogna provarci". Fosse anche solo per il numero dei
delegati, il tema della "diplomazia delle città" non sembra dunque essere stata
solo una chiave in "d" minuscola. Che si è arricchita dal tentativo di capire se
la costruzione di una rete di enti locali produce effettivamente dialogo e non
soltanto qui in Europa dove palestinesi e israeliani si parlano salvo poi, come
in molti temono, tornare ad ignorarsi una volta a casa, dov'è il conflitto a
dettare le regole della convivenza. Ospitati da provincia e Comune di Venezia
nella rinnovata isola di san Servolo (un tempo Cayenna veneziana e poi manicomio
che venne chiuso con la legge Basaglia), israeliani, palestinesi ed europei
(dagli spagnoli ai francesi, dai belgi agli olandesi) si son chiesti se si può
"accerchiare" la diplomazia delle capitali partendo dagli enti locali e dal
territorio. Ma senza ignorare il quadro internazionale e il proprio ambito
nazionale per evitare il "piccolo è bello" del singolo progetto che magari
costruisce il pozzo nel villaggio, ma che non riesce a diventare poi strumento
di pressione politica. Fare i conti coi grandi decisori dunque, ma anche con una
rivendicazione di autonomia e con gli interrogativi sul ruolo della cooperazione
decentrata, sulla sfida delle città e, soprattutto, sul rapporto che poi i gli
amministratori degli enti locali (qui e là) hanno coi propri cittadini.
"Facciamo pace in Medio oriente" intanto ha fissato un obiettivo italiano: la
creazione di una rete di almeno cento enti locali decisi a lavorare "con
realismo" per la pace tra israeliani e palestinesi, con iniziative concrete di
solidarietà e di cooperazione che abbiano come protagonisti comuni, province e
regioni. Ma c'è ben di più: "chiediamo alla Ue - spiega Flavio Lotti - di far
crescere il suo ruolo politico nel processo negoziale e di non sprecare la
disponibilità delle città europee nel partecipare attivamente a questo sforzo".
Come? Con progetti concreti a cominciare da campagne di coinvolgimento dei
cittadini europei e, in Medio Oriente, rafforzando la qualità dei progetti di
cooperazione decentrata. Ma anche sviluppando "partenariati e gemellaggi con le
città palestinesi e israeliane impegnate per la pace" conclude Lotti. E
lavorando soprattutto con i giovani, per fare "un passo nel futuro, nella
cultura della pace, dei diritti e della riconciliazione".
Il documento finale dell'incontro di Venezia sarà in realtà presentato a fine
novembre a Istanbul al Consiglio mondiale delle città. Da lì dovrà venire il
mandato forte, una luce verde perché le città si mettano in moto per la pace in
Medio oriente. Trasformando la solidarietà in pressione politica sulle
istituzioni e la diplomazia con le iniziali scritte in maiuscolo.
Fonte: Lettera22 e www.perlapace.it
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