GIULIO TARRO

Scienza e fede

 

Come medico mi è capitato di interessarmi di guarigioni inspiegabili alla luce delle attuali conoscenze scientifiche,e quindi classificati come “miracoli”, e di domandarmi se queste potessero essere opera del caso o di, ancora oggi, sconosciute risorse della psiche del malato, che, in qualche modo, riesce ad “ordinare” al corpo sbalorditivi processi fisiologici. Vi è, come è noto, una terza ipotesi e che, cioè, l’intercessione di una entità parafisica (battezzata con i nomi più diversi a seconda dei differenti contesti culturali e geografici) possa, sollecitata da intense preghiere, essa stessa compiere questi prodigi; ma questa ultima congettura, a mio parere, non esclude ma, anzi potrebbe integrare la seconda. Indubbiamente, domande come queste, che da secoli si sono posti non pochi scienziati, oggi in certi ambienti rischiano di apparire pure ingenuità, meri esercizi verbali senza senso; quasi come se allo scienziato non restasse niente altro da fare che trincerarsi dietro i suoi esperimenti, i suoi rigidi protocolli di laboratorio, per far crescere una Scienza divenuta ormai un idolo.

 "Siamo diventati adoratori della scienza e rimpiazziamo gli antichi dogmi religiosi con definizioni scientifiche”. Questa considerazione di Eric Fromm ci introduce in quello che è oggi uno dei principali limiti della ricerca scientifica: l’esclusione di fatti che essa non riesce a spiegare alla luce delle sue attuali conoscenze. Mi sia concesso, a tal riguardo, una divagazione, che, in questo contesto, spero non appaia profana, su una serie di, ancora oggi, inspiegati episodi: i bolidi di ghiaccio precipitati un po’ dappertutto in Europa nei primi giorni del 2.000.

Chi avesse la pazienza di rileggersi tutti gli articoli pubblicati a suo tempo non potrebbe non ammettere che sarebbe veramente arbitrario etichettare come scherzi o truffe quegli avvistamenti; d’altro canto chi si ricorda i penosi balbettii, ammantati da roboanti quanto inconcludenti termini, con i quali gli scienziati, costretti a pronunciarsi sotto gli impietosi occhi delle telecamere, ribadivano cosa i blocchi di ghiaccio non potevano essere (né grandine, né comete, né ghiaccio formatosi sulla carlinga degli aerei o scaricato da aerei cargo) non potrebbe non ammettere in tutta franchezza come quegli avvenimenti restano ancora oggi un assoluto mistero per la Scienza. Eppure proprio in questi giorni mi è capitato di leggere un editoriale di un notissimo “divulgatore scientifico” che liquida sprezzantemente come “psicosi” quegli avvistamenti secondo lui riconducibili o a “ben identificati fenomeni atmosferici” o a “scherzi di buontemponi”. Sembra di essere tornati al 1760 quando una commissione composta dai più insigni scienziati dell’Académie Française, dopo quattro anni di lavori, sentenziò escludendo tassativamente che potessero cadere pietre dal cielo. Proprio quell’anno, il 24 luglio, una pioggia di meteoriti cadde nel sudovest della Francia e furono mandate all’Académie Française più di 300 testimonianze e campioni delle rocce. Ma gli accademici non li considerarono assolutamente e dichiararono la pioggia di meteoriti un “fenomeno materialmente impossibile” e “ciarlatano” chi osava testimoniare il contrario.

L’atteggiamento di liquidare con una scettica alzata di spalle fenomeni che non possono essere spiegati utilizzando le attuali conoscenze è una abitudine , nata sostanzialmente con l’Illuminismo, ma che persiste ancora oggi, molto più diffusa di quanto comunemente si pensi nel campo della ricerca scientifica. Il perché si spiega sostanzialmente con l’atteggiamento della stragrande maggioranza dei ricercatori, sempre a caccia di finanziamenti indispensabili per potere svolgere il loro lavoro, che per paura di restare emarginati preferiscono non immischiarsi con fenomeni rari, non comodamente riproducibili in laboratorio, o che addirittura osano dar credito a discipline e a credenze contro le quali la Scienza ha condotto nei secoli una aspra battaglia.

Non a caso, sorprendentemente poche sono le ricerche per tentare di comprendere le sbalorditive guarigioni, che fanno gridare al miracolo.

Come è noto, nell’ambito della Congregazione delle Cause dei Santi in Vaticano, opera la Consulta Medica, composta da illustri clinici, per accertare presunte guarigioni miracolose. Tra quelli più recenti, il caso più famoso è certamente la straordinaria guarigione di una gravissima perforazione gastrica emorragica con fistolizzazione esterna e peritonite acuta di Suor Caterina Capitani, Figlia della Carità, avvenuta a Napoli il 25 maggio 1966 e che la Congregazione ha attribuito alla intercessione di Giovanni Roncalli, Papa Giovanni XXIII, che per questo e altri miracoli è stato assurto al ruolo di Beato e quindi di Santo. La documentazione clinica su questa guarigione, che non può essere spiegata alla luce delle attuali conoscenze mediche, al pari di molte altre esaminate dalla Congregazione, nonostante sia liberamente consultabile, per quel che mi è dato di sapere, non ha mai trovato posto in prestigiose riviste scientifiche né ha mai costituito relazione o comunicazione in nessuno degli innumerevoli convegni medici e scientifici che, quasi sempre sponsorizzati da potenti case farmaceutiche, affollano rinomate località.

Ugualmente snobbati dalla Scienza ufficiale sono poi le sconcertanti guarigioni che si verificano in luoghi di culto, Valga per tutti l’esempio di Lourdes, Già nel 1912 Alexis Carrel, premio Nobel per la Medicina nel 1912, dopo un’attenta disamina delle guarigioni lì registrate, suscitando lo scandalo di buona parte del mondo medico, aveva ammesso di trovarsi di fronte ad eventi miracolosi; e dopo di lui altri illustri clinici, come Erwin Liek autore nel 1931 del fondamentale testo «Il miracolo in Medicina» sfidando l’establishment scientifico, si sono pronunciati in tal senso. Eppure ancora oggi, i “miracoli” (dal latino “miraculum” e cioè  meraviglia) che si verificano in luoghi di culto come Lourdes, Pietralcina, Fatima, Loreto... spesso vengono sprezzantemente etichettati dal mondo scientifico, quasi sempre senza alcuna lettura della documentazione clinica, come “effetto placebo” o come «frutto del caso».

Valga per tutti l’esempio dei miracoli di Lourdes che, come è forse noto, vengono vagliati da una Commissione medica composta da illustri clinici, che opera con una cautela che sfiora lo scetticismo e che ha fatto classificare come “miracoli”, delle migliaia di segnalazioni di presunte guarigioni inspiegabili che ogni anno giungono alla Commissione, solo 65 negli ultimi 140 anni. Ci si sarebbe aspettato, a questo punto, che qualcuno di questi casi fosse stato attentamente esaminato dall’establishment scientifico laico, se non altro per tentare di individuare eventuali processi fisiologici sconosciuti all’attuale Medicina. Così non è. Per quel che mi è dato di sapere, non solo nessuno di questi casi ha mai trovato spazio su qualche rivista scientifica ma, tornando, alla cosiddetta “divulgazione scientifica”, ecco come Carl Sagan, forse il più famoso “divulgatore scientifico”, ha cercato di “spiegare”,  (nel suo libro “Il mondo infestato dai demoni”, Baldini & Castoldi 1997) questi miracoli:

<<A Lourdes, la Chiesa cattolica ha riconosciuto finora l'autenticità di soli 65 casi, in un periodo di 140 anni. Su questo dato è interessante fare le seguenti considerazioni. Nel periodo considerato si stima che il numero di pellegrini recatisi a Lourdes si aggiri intorno ai cento milioni. Quindi, in base al numero di guarigioni riconosciute, la probabilità di essere guariti è inferiore a una su un milione. Ora, si è stimato che per i tumori esiste una probabilità di remissione spontanea compresa tra uno su diecimila e uno su centomila. Se si ammette che non più del 5% di tutti i pellegrini che si recano a Lourdes siamo malati di cancro, si sarebbero dovuti verificare da 50 a 500 casi di guarigioni "miracolose". Sulle 65 guarigioni riconosciute dalla Chiesa solo tre erano rappresentate da malati di cancro. Quindi il numero di guarigioni a Lourdes è addirittura più basso di quello che ci si dovrebbe attendere in base alle statistiche. Queste osservazioni dovrebbero indurre a un'estrema cautela nei confronti di tutte le cosiddette "guarigioni miracolose". Come al solito, invece, vi è la tendenza, alimentata dai media, a gridare immediatamente al miracolo. Un'ultima considerazione, infine, dovrebbe ulteriormente consigliare un sano scetticismo: è piuttosto significativo il fatto che nessuna guarigione miracolosa abbia mai comportato eventi che sarebbero inconfutabilmente prodigiosi, quali la crescita di un arto amputato o il rinsaldamento del midollo spinale reciso.>>

Vale la pena, a questo punto soffermarci su queste considerazioni, a partire dalla disinvolta affermazione: <<…si è stimato che per i tumori esiste una probabilità di remissione spontanea compresa tra uno su diecimila e uno su centomila.>> Indubbiamente, la remissione spontanea di neoplasie è un fenomeno, purtroppo raro, ma conosciuto da decenni dalla Medicina; i casi di remissione spontanea, comunque, “normalmente” riguardano singole masse tumorali non già spaventose metastasi diffuse in tutto il corpo con la conseguente distruzione dei tessuti sani. Le tre guarigioni esaminate a   Lourdes riguardano appunto questo ultimo quadro clinico che, purtroppo, non arricchisce le statistiche citate da Sagan che pretende di ridurre questi “miracoli”, questi  straordinari episodi,  assolutamente inspiegabili alla luce delle attuali conoscenze scientifiche, a meri fenomeni statistici. Ancora più incauta appare poi l’affermazione <<...è piuttosto significativo il fatto che nessuna guarigione miracolosa abbia mai comportato eventi che sarebbero inconfutabilmente prodigiosi, quali la crescita di un arto amputato o il rinsaldamento del midollo spinale reciso...>> considerando che questo è esattamente ciò che è successo in Spagna nel 1640 in un “miracolo” puntigliosamente ricostruito da  Vittorio Messori e pubblicato nel suo recente libro “Il miracolo", di recentissima pubblicazione.

È necessario, a questo punto, soffermarsi sulla prevedibile obiezione secondo la quale lo studio scientifico dei miracoli sarebbe una contraddizione in termini poiché i miracoli, in quanto tali, esulerebbero dall’indagine scientifica. Questa affermazione ci permette di aprire un breve discorso sul rapporto tra fede e scienza.

La concezione del rapporto fra teologia e scienza è mutata profondamente negli ultimi secoli: alla teologia - "Regina scientiarum" nell'enciclopedia del sapere medioevale - la ragione moderna ha preteso di sostituire se stessa quale unica protagonista e vertice assoluto della conoscenza. Ecco perché nell'epoca iniziata dall'Illuminismo il rapporto fra teologia e scienza è stato concepito spesso esclusivamente come un conflitto. Un conflitto cominciato quando la scienza sembrò minacciare il confortevole po­sto occupato dall'Uomo all'intero di un cosmo creato se­condo un disegno divino. Ma la rivoluzione iniziata da Co­pernico e terminata da Darwin ha avuto l'effetto di emarginare, persino di svilire, gli esseri umani non più posti al centro del disegno supremo, ma relegati a un ruolo secondario e senza apparente significato in un indifferente dramma cosmico, come comparse improvvisate finite per caso nel mezzo di un grande set cinematografico. Questo ethos esistenzialista ‑secondo cui non c'è alcun senso nella vita umana al di là di quello che gli esseri umani stessi le conferiscono ‑ è di­ventato il leitmotiv di buona parte della Scienza. E per questa ragione che la gente comune, in molti casi, fa finito per considerare la Scienza come qualcosa di minaccioso e degradante responsabile dell’estraniazione dall'univer­so in cui vivono.

Vi è, comunque, un’altra possibile lettura della Scienza.

Lungi dal presentare gli esse­ri umani come prodotti accidentali di cieche forze fisiche, la scienza può suggerire che l'esistenza degli organismi co­scienti è un aspetto fondamentale dell'universo e che l’universo stesso, attraverso innumerevoli processi durati miliardi di anni, abbia trovato la sua ultima tappa di sviluppo nell’essere umano, nel suo cervello, nella sua psiche. Questa lettura del creato, fatta propria da scienziati come Fred Hoyle o da mistici come Aurobindo, è stata per molto tempo considerata, al più, una poetica intuizione, non certo una teoria scientifica finché l’irrompere sulla scena della fisica quantistica ha prefigurato una sbalorditiva sintesi tra misticismo e razionalismo, tra psiche e materia e, in ultima analisi, tra miracoli e Medicina.

Nel 1935 Niels Bohr, uno dei massimi esponenti della fisica quantistica, rispondendo ad alcune obiezioni che gli venivano poste, tra gli altri, da Albert Einstein, Boris PodoIsky e, Nathan Rosen, formulò una affermazione che aprì inesplorati percorsi alla Scienza: <<Anche se due fotoni correlati si trovassero su due diverse galassie continuerebbero pur sempre a rimanere un'unica entità e l'azione compiuta su uno di essi avrebbe effet­ti anche sull'altro.>>

Per decenni questa affermazione rimase indimostrata finché nel 1982 comparve sulla scena un fisico dell'Università di Parigi, Alain Aspect, che con una serie di espe­rimenti dimostrò,  che i fisici quantistici avevano ragione. Gli esperimenti condotti a Parigi da Aspect prevedevano che una coppia di fotoni correlati (nati dalla disintegrazio­ne di un atomo di calcio) venisse­ro separati e lanciati verso rivela­tori lontani, i quali a loro volta do­vevano misurare il comportamento dei fotoni dopo che lungo la traiettoria di uno di essi veniva ca­sualmente inserito un «filtro» che ne modificava la direzione. Il risultato dei test dimostrò che, quando uno dei due fotoni devia­va in seguito all'interazione col fil­tro, istantaneamente deviava anche l'altro, benché si trovasse spazialmente separato (per l'esattez­za lontano tredici metri: una di­stanza enorme per particelle di dimensioni subnucleari). Il fatto straordinario non si rivelò tanto la conferma del non localismo, e quindi dell'esistenza di azioni a distanza, quanto l'evidenza che queste azioni avvenivano contem­poraneamente, quasi ci fosse tra le particelle correlate una trasmissione di informazioni istantanea. Questa sbalorditiva capacità di particelle, pur infinitamente distanti, di correlarsi in quanto generate nello stesso momento o altre scoperte della fisica quantistica, come la capacità dell’osservatore di influenzare un esperimento scientifico con il suo semplice osservare l’esperimento stesso, hanno scompaginato secoli di scienza e apre rivoluzionarie prospettive filosofiche che potrebbero ricucire quella dicotomia tra Scienza e Religione sulla quale si basa da qualche secolo la civiltà occidentale.

Per quanto riguarda la Medicina, come è noto, da decenni si vanno affermando in Occidente teorie e scuole che leggono l’organismo umano non già come il mero “prodotto” del funzionamento di vari organi o come il risultato di una meccanica interrelazione tra corpo e ambiente esterno ma come una entità, quasi sovrafisica, fondamentalmente regolata da elementi difficili da definire per la Scienza quale la psiche del soggetto o i sentimenti degli esseri che lo circondano. Personalmente, fino a qualche anno fa ritenevo del tutto risibili queste considerazioni che consideravo retaggio di superstizioni. Eppure, come medico, al pari di tanti altri miei colleghi sapevo benissimo che, in molti casi, la guarigione dipende dalla capacità del medico di infondere nel paziente quel sentimento che i laici definiscono “fiducia” e i religiosi definiscono “fede”; due termini (non a caso aventi la stessa etimologia) che rimandano ad una adesione incondizionata, non giustificabile per intero dalla ragione.

Oggi, pur, mettendo da parte “guaritori” e ciarlatani, sono intimamente convinto che la fede, o la fiducia, possa essere capace, essa sola, di risanare un organismo; e quando parlo di malattie mi riferisco anche a gravi stati patologici non certo al cosiddetto “malessere psicosomatico”, un ben curioso termine inventato dalla medicina moderna e dall’Accademia per circoscrivere alcuni eventi la cui guarigione, ancora oggi, non riesce a spiegare. E baso questa mia convinzione, più che sulla disamina di dati di laboratorio o di casi riportati dalla letteratura medica, su qualcosa che ritengo sia molto più che una personale intuizione, su  una intima convinzione.

Può certamente sembrare strano che uno scienziato (mi si perdoni questo termine che nella lingua italiana acquista connotazioni auliche ma che nel linguaggio internazionale viene utilizzato semplicemente per indicare un ricercatore, uno studioso della Scienza)  accantoni momentaneamente pluridecennali metodologie di indagine per basare una sua affermazione su un qualcosa che, per definizione, non può essere “dimostrato”. Eppure l’esistenza di qualcosa in grado di operare al di là delle leggi oggi conosciute e di guarire attraverso processi che non si possono non definire che miracoli mi è apparsa in tutta la sua evidenza visitando la cella di padre Pio e lasciandomi permeare da quell’atmosfera di devozione e di preghiera che lì aleggiava; è stata una esperienza bellissima che mi ha dischiuso ad una visione del mondo, in ultima analisi ad una nuova conoscenza. Il definirsi di una nuova realtà, dove ogni tassello, fino a quel momento vagamente intravisto attraverso un velo di scetticismo, finisce per comporre un mosaico di incomparabile bellezza mi ha spinto sulla via del ritorno a fermarmi a Pietralcina, dove padre Pio è nato. Lì ho visto la sua casa, ho conosciuto i suoi familiari e, grazie alla guida di padre Rufino, che mi ha fatto da Virgilio, ho scoperto aspetti che, se avessi visto solo S. Giovanni Rotondo, probabilmente mi sarebbero sfuggiti. E lì anche le stimmate di Padre Pio mi sono apparse qualcosa di completamente diverso dal ben studiato in Medicina, fenomeno angiovascolare capace di provocare vistose ecchimosi e piaghe. Mi si sono rivelate come la testimonianza di un uomo di fede, di un frate contadino, semplice e schietto che ci spinge a superare le convenzioni e le imposizioni dettate dalla nostra cultura per ritrovare in noi stessi  le vere ragioni della nostra esistenza. Un percorso di conoscenza che va al di là dei freddi sentieri della logica ma che si affida a quanto di più intimo di vero è nell’animo umano. Per questo ritengo che la sete del sapere, la curiosità che anima ogni ricercatore degno di questo nome possa essere vivificata  da una esperienza come questa.

“La religione senza scienza sarebbe imperfetta” ammoniva un grande scienziato, Albert Einstein. È vero anche il contrario. Una scienza che si ponesse come fine quello di una assoluta conoscenza, illudendosi di sostituirsi alla religione sarebbe quanto di più arido si possa immaginare. Per questo ritengo che scienza e fede debbano procedere su strade certamente separate ma non certo divergenti, verso il fine ultimo che non può che essere porsi al servizio dell’umanità.